
I data center aziendali non suscitano l’interesse di chi guarda la tecnologia dalla prospettiva più innovativa, tuttavia rappresentano ancora la base fondante dell’IT e del business che sempre più ha bisogno della tecnologia per crescere ed evolvere. E così sarà almeno per il prossimo decennio, se non oltre. A dirlo sono i risultati dell’ultima indagine annuale sui data center dell’Uptime Institute (condotta a livello globale su un campione di quasi 850 intervistati nelle funzioni di Critical Facilities Management, IT Management, Senior Executives e Design Engineers nell’ambito dei data center).
L’indagine globale annuale di Uptime Institute sui responsabili IT fornisce una panoramica delle pratiche, delle esperienze e delle tendenze sottostanti nel settore delle infrastrutture digitali mission-critical, oggi e in futuro. I risultati di quest’anno mostrano un settore che, come sempre, è alle prese con una serie di questioni difficili, come la carenza di personale, il passaggio al cloud computing e la crescente complessità, soprattutto nella gestione dei data center. Ma è un settore che sta crescendo e si sta adattando ai rapidi cambiamenti su più livelli, segno indiscutibile del valore che i data center rappresentano per i business delle aziende.
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Data center locali di proprietà delle aziende o dei provider tecnologici?
Secondo quanto rivela l’Uptime Institute, la capacità dei data center – a livello globale – è in continua e rapida espansione, soprattutto se si guarda ai data center dei provider IT (che offrono servizi di colocation, outsourcing, cloud pubblico). Molti i fattori che guidano questa espansione, inclusi i servizi più recenti basati su cloud (come i social media e lo streaming), applicazioni e servizi mobili, nuovi servizi e applicazioni aziendali cloud-native, la migrazione dei carichi di lavoro aziendali in siti di colocation, l’adozione di software come servizio (SaaS) e piattaforme cloud pubbliche.
Questa tendenza significa che quasi tutti i carichi di lavoro IT finiranno per essere eseguiti in ambienti di terze parti e provider IT?
La risposta è decisamente no. Nel sondaggio dell’Uptime Institute del 2020, è stato chiesto agli intervistati di stimare, in percentuale, la quantità del loro carico di lavoro / dati elaborati / archiviati in diversi tipi di data center oggi e come la distribuzione dei workload potrebbe configurarsi tra due anni. La maggior parte (58% oggi, 54% previsto in due anni) ha affermato che la maggior parte dei carichi di lavoro viene eseguita in data center aziendali, ovvero strutture locali di proprietà dell’azienda.
Questi risultati confermano il punto di vista che l’Uptime Institute porta avanti ormai da diversi anni secondo cui il settore dei data center di proprietà aziendale, sebbene non necessariamente il più innovativo, continuerà a essere la base dell’IT aziendale per il prossimo decennio.
Nell’indagine di quest’anno emerge chiaramente che da qui al 2022 quasi due terzi dei carichi di lavoro IT saranno eseguiti ancora in ambienti di proprietà privata (grandi data center, armadi server e micro data center), solo un terzo sarà dunque appaltato a provider IT esterni.
La spinta verso il mantenimento degli ambienti in-house
Secondo quanto emerge dal report, i fattori che guidano la domanda e l’espansione di ambienti IT in-house sono:
- costi: la proprietà offre vantaggi in termini di costo totale di proprietà (TCO) a lungo termine; a breve termine, i proprietari di data center evitano i costi di “trasporto” dei dati verso ambienti IT esterni;
- governance: gli ambienti locali spesso sono necessari per la conformità e la governance dei dati e la compliance ai requisiti normativi;
- controllo: sui sistemi interni è più facile monitorare e controllare da vicino fattori come la latenza, la disponibilità e le prestazioni delle applicazioni;
- rischio: la proprietà del data center garantisce la piena visibilità (e la capacità di modificare) il profilo di rischio di ogni carico di lavoro;
- sicurezza: la proprietà fornisce la capacità di mantenere controllo e governance (infrastruttura fisica dedicata anziché condivisa) sulle funzionalità di sicurezza.

Ancora presto per il public cloud?
Stando alle stime dell’Uptime Institute, si prevede che l’uso del cloud pubblico aumenterà dall’8% dei carichi di lavoro odierni al 12% in due anni (può sembrare poco ma un aumento del 4% non è affatto irrisorio, soprattutto quando si parla di applicazioni e workload mission-critical).
La crescita sarà tuttavia ancora frenata da alcuni fattori come mancanza di visibilità, trasparenza e responsabilità dei servizi di cloud pubblico, problemi importanti per le aziende con applicazioni mission-critical: le aziende vogliono maggiore visibilità su come gli operatori cloud gestiscono le loro operazioni. Secondo quanto rivela il report dell’Uptime Institute, se le aziende avessero quella visibilità, sarebbero più propense a utilizzare un cloud pubblico. Solo il 17% delle aziende interpellate afferma che la propria organizzazione ha una visibilità adeguata e colloca i carichi di lavoro mission-critical in un cloud pubblico; il 21% afferma che sarebbe più propenso a eseguire carichi di lavoro mission-critical in un cloud pubblico se ci fosse un livello più elevato di visibilità sulla resilienza operativa del servizio.
Motivi che, ad oggi, mostrano come a “vincere” su data center in-house e data center e ambienti IT esterni siano ancora i primi.
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