
Dopo due anni abbondanti dall’inizio della pandemia globale Covid-19, il mondo del lavoro sta affrontando un new normal che non ha ancora assunto una precisa identità, o ne ha assunte molte, a seconda dei punti di vista. Migrare i carichi di lavoro in cloud non ha costituito una novità assoluta. Le restrizioni pandemiche hanno soprattutto contribuito ad accelerare i ritmi della cloud adoption, agevolando le procedure di lavoro da remoto, che hanno a seguire progressivamente assunto la dimensione tipica del lavoro ibrido: parte in remoto, parte in presenza, parte in smart working propriamente detto.
I piani di ritorno in ufficio stipulati in maniera più o meno formale dalle varie aziende offrono approcci molto vari sul tema. La flessibilità e la scalabilità del cloud costituiscono due qualità perfette per adattarsi al meglio a qualsiasi alternativa di scenario, anche quelli del tutto inediti, con nuove possibilità da esplorare.
Per citare un esempio pratico, la diffusione globale del lavoro da remoto consentito di scoprire che metodologie come DevOps si adattassero perfettamente a supportare progetti di sviluppo senza costringere i team a lavorare necessariamente in presenza. L’organizzazione, data in primis dalla capacità di ottimizzare i tempi e le modalità di collaborazione ha spesso aumentato l’efficienza dei team di sviluppo, contrariamente ai timori iniziali di chi si è ritrovato a fare di necessità virtù in una condizione del tutto inedita.
Tale condizione è la stessa che ha offerto una grande opportunità ai team HR, che hanno potuto espandere in maniera considerevole il raggio d’azione della propria attività di recruiting, assumendo professionisti anche da contesti geografici molto remoti rispetto alla posizione delle sedi aziendali. Gli effetti del lavoro ibrido sono innumerevoli e in molti casi ancora del tutto da esplorare. Va inoltre considerato come questa profonda metamorfosi dell’organizzazione del lavoro non sarebbe possibile senza il supporto IT del cloud computing.
A fronte di una perdurante incertezza sul futuro, dopo due anni dall’inizio della pandemia globale Covid-19, grazie ai risultati di alcuni studi e alla conoscenza sul campo di una serie di dinamiche concrete, possiamo pertanto tracciare alcune valutazioni e individuare alcuni spunti di riflessione su una cloud adoption che ogni realtà potrà personalizzare sempre di più sulla base delle proprie effettive esigenze.
Indice dei contenuti
Migrazione in cloud: costanza e perseverazione le armi vincenti
Per inquadrare al meglio la fenomenologia del lavoro ibrido e della sua correlazione con la migrazione in cloud dei carichi di lavoro aziendale sono da tempo in corso varie indagini, trattandosi di uno degli aspetti più rilevanti del mercato IT. È il caso di Secrets of Successful Digital Transformation, report pubblicato da ThoughtWorks su commissione di Forrester, dai cui risultati emerge come ben l’81% delle organizzazioni intervistate riconosca in una strategia di miglioramento continuo l’elemento essenziale per il successo della trasformazionale digitale. Nei dettagli, lo studio rivela come gli ambienti di lavoro ibrido non costituiscano una condizione effimera, ma siano destinati a rimanere in funzione della crescita digitale dell’azienda.
Un fattore essenziale nei modelli organizzativi necessari per modernizzare l’IT è costituito dal fatto che i dati devono risultare accessibili mediante piattaforme in cloud, in modo da risultare utili e funzionali a tutte le linee di business che conducono i vari aspetti del business. Tale condizione risulta fondamentale sia in termini di efficienza funzionale, sia per garantire un’effettiva collaborazione tra i reparti aziendali, evitando un trasloco nel digitale dei tradizionali data silos derivanti dall’abitudine a lavorare per compartimenti stagni. Per raggiungere tale risultato non sono sufficienti energici schemi sulla lavagna e allegri post-it dai colori variopinti. Sono necessarie tecnologie concrete, che sappiano associare allo spunto dei modelli teorici quella praticità indispensabile per rendere operative le procedure necessarie per innovare i processi e raggiungere con successo gli obiettivi di business in questo particolare periodo storico.
Mentre le aziende ripensano la propria organizzazione per risultare più flessibili, il cloud garantisce le soluzioni pratiche per supportare il lavoro ibrido, abilitando nuovi scenari di business. Anche se la scalabilità del cloud è in grado di garantire in molti casi dei ROI incredibilmente rapidi, affinché il successo sia realmente durevole, le aziende devono essere consapevoli di dover affrontare un investimento, in termini di budget e risorse, continuativo nel tempo, mettendo in cima alle priorità la sicurezza e l’accessibilità dei dati.
Migrazione in cloud dei carichi di lavoro: il bilanciamento del budget
Quando i comparti tecnici hanno predisposto i piani di cloud migration, il punto chiave diventa tradurre le analisi di fattibilità nell’effettiva capacità di affrontare l’investimento, sia per la quantificazione del budget complessivo che per quanto riguarda la sua distribuzione nel breve, medio e lungo termine, in uno scenario di relativa incertezza come quello che accompagna il new normal.
Il principale timore delle aziende risiede nel fatto che le cifre che si vanno effettivamente ad accumulare nel quadro di spesa, molto spesso e per una grande varietà di fattori, superano le indicazioni previsionali. Ciò sarebbe dovuto in parte alla scelta consapevole di accelerare la trasformazione digitale e in parte ad una non corretta valutazione dei costi del cloud, dovuta alla scarsa esperienza o ad un assessment non accurato. Fermo restando una serie di possibili imprevisti, derivanti soprattutto dagli eventi su scala globale, come ampiamente dimostrato dalle conseguenze del conflitto russo-ucraino.
Per avere una percezione del sentimento diffuso, le informazioni contenute nel Big Data Cloud Technology Report 2021 di Pepperdata riportano come il 33% delle aziende abbia speso tra il 20% e il 40% in più per migrare in cloud i propri carichi di lavoro, rispetto alle previsioni effettuate all’inizio del 2020, prima che scoppiasse in maniera del tutto imprevista la pandemia a livello globale. Soltanto il 45% delle aziende coinvolte dal survey si direbbe sufficientemente certo di rispettare i budget prefissati a lungo termine.
Il costo dei servizi in cloud va certamente valutato con attenzione, soprattutto nel caso delle realtà più piccole, che potrebbero essere attirate dalla possibilità di azzerare l’investimento iniziale grazie alla cloud adoption, salvo accorgersi nel medio termine che il costo perpetuo del modello “as-a-service”, potrebbe addirittura risultare più sconveniente nell’ammontare complessivo della spesa rispetto all’alternativa on-premise inizialmente scartata.
Quando le opportune valutazioni vengono effettuate in maniera corretta e da personale realmente esperto in progetti di cloud migration, il costo dei servizi in cloud non dovrebbe costituire una barriera, soprattutto quando il cloud costituisce la miglior alternativa tecnica per distribuire i carichi di lavoro. È infatti necessario pianificare la migrazione in cloud con competenze e puntualità, in quanto non tutti i carichi di lavoro possono essere considerati allo stesso modo. È pertanto opportuno trovare un adeguato bilanciamento tra i processi da portare effettivamente in cloud, secondo un ordine di priorità formato sulla base di vari fattori, e il budget effettivamente disponibile nelle varie previsioni di bilancio.
Gli aspetti tecnici e normativi di un piano di migrazione in cloud: ripensare l’infrastruttura IT e tutelare la sicurezza dei dati
Oltre alle valutazioni di budget, quando un’azienda considera di migrare in cloud parte delle proprie risorse IT deve tenere conto di tantissimi altri aspetti, con l’obiettivo di soddisfare tutte le esigenze di business. In primo luogo, è essenziale che i dati vengano resi disponibili nelle posizioni richieste. Questo potrebbe comportare la configurazione di un’infrastruttura IT ibrida, con servizi in cloud (elaborazione, storage, rete, ecc.) capaci di assistere in secondo luogo il lavoro svolto dai device periferici, connessi alle architetture di edge computing indispensabili per interfacciarsi con i sistemi IoT in condizioni di latenza compatibili con le esigenze operative e le funzioni da soddisfare.
In condizioni di lavoro ibrido è possibile che gran parte dei processi di gestione dei sistemi IT / OT vengano svolti da remoto. Il cloud ne consente il controllo mediante applicazioni cloud native, disponibili come SaaS in qualsiasi luogo ed in qualsiasi momento, alla sola condizione che l’utente disponga delle necessarie autorizzazioni per accedervi mediamente un semplice browser web.
Ogni carico di lavoro necessità di condizioni di latenza, controllo, visibilità, scalabilità e performance specifiche, che vanno valutate caso per caso, da specialisti e consulenti esperti in materia di migrazione in cloud. Le configurazioni possibili sono moltissime ed ogni scelta deve essere l’effetto consapevole di una serie di valutazioni basate su analisi mirate a conoscere nei minimi dettagli l’IT aziendale, per trasformarlo in funzione degli obiettivi desiderati, nel rispetto dei budget a disposizione.
Il cloud costituisce inoltre una solida alternativa quando si tratta di garantire la conformità in merito alla conservazione, al trattamento e alla sicurezza dei dati, nel recepimento della normativa GDPR e, nello specifico caso delle aziende operanti nell’ambito dei servizi fondamentali e delle infrastrutture critiche, della normativa NIS.
I servizi e le applicazioni offerte dai cloud service provider assolvono determinati prerequisiti, e sono straordinariamente comodi quando si tratta di seguire gli aggiornamenti delle norme stesse. Ciò non esclude l’opportunità di una verifica in funzione di ogni specifico contesto, per verificare che non sussistano condizioni particolari, come alcuni vincoli contrattuali che potrebbero rendere inefficace il ricorso ad una soluzione in cloud pubblico. In tal caso, sarebbe possibile valutare una configurazione IT ibrida che preveda la conservazione dei dati critici nei data center in locale, disponibili in cloud privato o con le modalità previste dalle tradizionali infrastrutture on-premise.
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